In guerra: l’eroe-operaio Vincent Lindon torna a Cannes con Brizé

Novembre 13, 2018 6:51 pm

In guerra , il nuovo film di Stéphane Brizé, presentato in concorso al 71° Festival di Cannes si apre con una citazione di Bertolt Brecht “Chi combatte rischia di perdere, ma chi non combatte ha già perso”. Ed è proprio nel cuore di una battaglia vitale che ci immerge il cineasta, nel violento scontro tra la realtà degli esseri umani e i sondaggi su economia mondiale e redditività. Stéphane Brizé firma un film forte, coinvolgente e di un realismo eccezionale sulla lotta di un gruppo di operai minacciati dalla chiusura della loro fabbrica.

Vincent Lindon, tre anni dopo il premio per la migliore interpretazione maschile per La loi du marché al festival di Cannes, torna al cinema con un ruolo forte e molto simile, diretto dallo stesso regista, Stephane Brizé e ancora una volta dedicato alla crisi economica, al lavoro, ai rapporti operai/padroni. Lindon, 58 anni, è di una efficacia eccezionale, riesce a dare un volto appassionato, nervoso, vitale all’operaio sindacalista in lotta contro la chiusura della fabbrica e la delocalizzazione. E’, come dice il titolo, In Guerra (En Guerre).

Il film, dopo Cannes, arriva nelle nostre sale con Academy Two il 15 novembre.

Un film politico

In guerra mette in scena, con dialoghi serrati, ritmo da thriller e montaggio originale, impronta da inchiesta tv, una storia esemplare, la stessa che si è vista tante volte in Italia e in Europa e che ha a che fare con la globalizzazione del mercato, gli accordi tra stati che passano sopra le teste dei lavoratori, il concetto tutto capitalistico di chiudere una fabbrica per aprirla dove i costi del personale sono la metà e più, le statistiche che si possono leggere in tutti i modi, le persone che diventano numeri.

Politico nel senso etimologico del termine ovvero che osserva la vita della città: la lotta di Laurent Amedeo, leader sindacalista che guida gli operai che scioperano per impedire che l’industria in cui lavorano venga chiusa, diventa sempre più una guerra, con battaglie vinte, cambi di fronte, piccole vittorie, giganti sconfitte. Con lui ci sono 1100 persone e rispettive famiglie decise ad andare avanti fino in fondo, a chiedere il supporto dell’Eliseo, della corte di giustizia, degli operai di altre fabbriche pur di avere un confronto con il Ceo dell’industria di stanza in Germania, un manager che ha avuto pure lo stipendio aumentato per gli ottimi dividendi e che non sa giustificare la chiusura se non con quella solita drammatica frase, è il mercato che lo chiede. L’immagine mancante, quella che non arriva mai sui media.

In guerra si ispira ad una storia vera, quella di Xavier Mathieu, leader sindacale della Continental.

Cinema del reale

Come si mette in scena, allora, una lotta operaia? Con una finzione che, secondo le parole del regista, non “traveste” il reale ma ne distilla i contorni per farlo trasparire nel modo più chiaro. E poi attraverso la sovrapposizione di tre punti di vista, tre modi di guardare e riprendere: innanzitutto la costruzione di una lotta, tra disomogeneità, tensioni, antagonismi interni; poi il reportage giornalistico (che, ci dice sempre Brizé, ha il potere di mostrarci immagini di inaudita violenza lasciandoci però per lo più assuefatti); e infine la trattativa tra dirigenti e lavoratori, tra la proprietà tedesca della Perrin e i suoi operai.

È davvero un film di guerra: il lavoro come campo di battaglia, gli operai come soldati che avanzano obiettivo dopo obiettivo verso la battaglia finale combattuta a suon di parole come colpi di fucile e decisioni istituzionali come bombe. Brizé la costruisce in primis attraverso delle scelte apparentemente semplici e in realtà radicali, che guardano al documentario militante e soprattutto al giornalismo embedded, non a caso, che si fa nelle zone di guerre, in cui la macchina da presa è immersa nell’azione, impallata, deve cercare di coglierlo il mondo anziché ricostruirlo, quasi come fosse un reportage in diretta, appunto.

 

Un film dall’ impatto poderoso

Ritmo martellante e tensione inesausta, con pochissime distensioni e parentesi personali (perché anche il privato è lotta politica, in certi contesti) che non cerca appigli per piacere ma che emoziona e coinvolge.  E con un Vincent Lindon di bravura impossibile, inumana, per cui gli elogi e i premi sembrano ormai superflui.

“In guerra: L’applauso più lungo al festival di Cannes” –  La Repubblica

“Applausi e lacrime” – Le Figarò

Il regista ci porta letteralmente in trincea: il lavoro come campo di battaglia, gli operai i soldati. Con un Vincent Lindon di bravura impossibile, in perfetta interazione con interpreti non professionisti al servizio di una sceneggiatura precisa che parla di rispetto dei patti.

 

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